Il pianeta omosex a Biella seguendo le indicazioni notturne della mappa pubblicata a Torino e venduta da alcune edicole locali. Una comunità diffusa e appartata. La prostituzione è marginale. Da viale Carducci ai giardini del Vernato. Poi un bar e a Chiavazza.
E’ poco illuminato viale Carducci e anche poco frequentata, nonostante la fila di case che costeggiano, un luogo ideale per incontri nascosti, proibiti e inoltre è così difficile passarci per caso, ci sono così tante strade alternative.
Forse l’hanno scelto proprio per questo i gay biellesi, che ne hanno fatto il punto più ricorrente di ritrovo, anche a costo di dividerlo con le prostitute di turno che attendono in macchina all’imbocco della via. Non è difficile riconoscerli, passeggiano tranquilli lungo viale Carducci, costeggiando il muraglione, aspettando un segnale, che la macchina si fermi, che i fanali lampeggino in un certo modo, che piano piano venga tirato giù il finestrino e dall’altra parte una faccia solitamente imbarazzatissima si decida a spiccicare parola.
Loro, i frequentatori abituali, sono invece meno timidi, si mettono anche un po’ in mostra, tanto nella maggioranza dei casi non lo fanno mica per soldi, la prostituzione maschile a Biella è un fenomeno praticamente inesistente, appena quattro o cinque casi, tra cui quello di due fratelli minorenni che sono diventati a poco a poco figure ricorrenti, ma che per raggranellare qualche soldo preferiscono spostarsi a Milano e a Biella di solito incontrano gratis.
Non si tratta di travestiti o viados, non si riconoscono per abiti particolarmente sgargianti, sono solitamente giovani perché i “vecchietti” (così vengono chiamati tutti coloro che superano i quant’anni) preferiscono abbordare che essere abbordati.
Non se ne vedono mai più di un paio anche se in realtà quelli che frequentano il posto sono molti di più, sono operai all’uscita del turno delle dieci, sono professionisti con la macchina di servizio, niente di vistoso per non farsi troppo notare, sono padri di famiglia in teoria impegnati nella classica partita di carte al bar e poi naturalmente sono i soliti noti, gli omosessuali dichiarati che statisticamente non rappresentano neppure il cinque per cento di un totale che stima magari ottimistiche fissano in tremila unità.
Una realtà apparentemente nascosta quella degli omosessuali biellesi che invece tutti sembrano conoscere benissimo, riportata ora alla luce da un’iniziativa economica e pure di dubbio gusto, la “Mappa della Torino gay e lesbica” edita come supplemento all’improbabile “Corriere delle saune”, messa in vendita da un paio di edicole nostrane, che dedica una trentina di righe alla realtà biellese suggerendo i luoghi d’appuntamento canonici.
Sì, perché oltre a viale Carducci sono almeno altri due i punti chiave per la comunità omosessuale, neppure troppo contenta che siano stati scoperti, che “tanto chi li doveva conoscere lo sapeva e invece adesso che finiscono sul giornale quelli sposati non ci verranno più per paura e dovremo ricominciare tutto da capo”. Il problema è tutto lì, la paura, anche giustificata, se la casistica ben spiegata dai pochi disposti a parlare è veritiera e buona parte dei frequentatori si lascia a casa una moglie o almeno una fidanzata.
Prendiamo i giardinetti del Vernato, gli ‘Alpini d’Italia’ ad esempio, dove si porta a spasso il cane pure d’inverno perché sono tranquilli ma in centro e con l’aria per nulla pericolosa. “La scusa spesso è proprio quella: vado a portare giù il cane, oppure buttare l’immondizia. Quindici minuti, a volte mezz’ora, il tempo di scendere, trovare l’amico, perché c’è sempre qualcuno che aspetta, appartarsi, combinare qualcosa e poi su di nuovo a casa, in famiglia in tempo per vedere la fine di Paperissima”. Vi sembra incredibile? Invece basta farsi un giretto non troppo tardi, in prima serata, e chiedersi perché sulle panchine fredde di queste serate ci stia seduta ad esempio “la Tedesca” (nome d’arte), che guarda di malocchio gli intrusi che si aggirano e impreca a bassa voce, perchè così si rovina la piazza.
Stessa storia o quasi ai giardini Zumaglini, angolo via Garibaldi dove si alterna la presenza ormai più folcloristica che altro dell’arcinoto “Pippo di Candelo”, travestito della prima ora a quella decisamente più discreta degli omosessuali meno coinvolti nel giro. “E non soltanto la sera, anzi forse l’ora migliore è nel tardo pomeriggio, quando chiudono gli uffici. Prima di tornare a casa si va sempre al fondo del parco, a volte si incontra a volte no”.
Il tutto, ormai dovrebbe essersi capito, con il minor clamore possibile perché l’estrema riservatezza è la caratteristica dominante della scena biellese, che nessuno spazio concede a iniziative pubbliche.
Unica follia quasi autorizzata l’essersi costruiti poco a poco un pubblico ritrovo, essersi conquistati un bar, il “Variety” di via Sebastiano Ferrerò, che in realtà ha poco di diverso da tutti gli altri e solo dopo una certa ora, non tanto tardi, perché poi i più intraprendenti preferiscono dirigersi verso il capoluogo lombardo, dove l’anonimato è garantito, a trovare la propria trasgressione nelle discoteche milanesi, anche un occhio disattento non può fare a meno di notare la particolarità della clientela. Sorrisi e ammiccamenti naturalmente, e che credete, ma quanto basta per creare un’atmosfera complice e, ammettiamolo, un tantino scomoda per chi si trovi a passar di lì per caso e venga attratto dalle luci soffuse del locale.
Per quanto riguarda gli spazi pubblici è tutto qui, soltanto d’estate ci si concede un pochino di più e il movimento occupa (per modo di dire) un piccolo spazio sulla sponda del torrente Cervo, “Le cave” come viene chiamato, appena dopo il ponte della tangenziale, abbastanza difficile da raggiungere per non essere troppo frequentato, non abbastanza bello per richiamare coppiette e famigliole.
Resta qualcosa da dire? Solo i particolari più pruriginosi, relativi alla difficoltà di appartarsi. Punti più gettonati? Le adiacenze del campo sportivo e della stazione di Chiavazza. Gli irriducibili del segreto non disdegnano le aree vicine al viadotto crollato.
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